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1.1. L’industrializzazione
della musica
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La
Produzione indipendnete di Musica elettronica - tesi di laurea in Sociologia
della Comunicazione
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Alla fine del XIX secolo si assiste ad un mutamento nell’essenza del suono e della musica che condurrà in brevissimo tempo al fenomeno caratterizzante del secolo successivo. Parliamo di ciò che Murray Schafer definisce con il termine schizofonia[1] e con cui intende “la frattura tra un suono originale e la sua trasmissione o riproduzione elettroacustica” [Schafer, 1985, 131]. E’ il momento a partire da cui è tecnicamente possibile registrare un suono, inscatolarlo e trasmetterlo attraverso lo scambio del supporto su cui è immagazzinato ed è in questo passaggio storico che vengono poste le basi per lo sviluppo della musica durante il secolo XX. La prospettiva dell’antropologia musicale ha riscontrato nel processo di “reificazione della musica in merce” [Magrini, 2001, 322] la caratteristica decisiva dello sviluppo dell’attività musicale durante questo secolo. Il sociologo e critico musicale Simon Frith[2] così qualifica lo sviluppo della popular music: “Il contrasto tra musica-come-espressione e musica-come-merce definisce l’esperienza della musica pop del ventesimo secolo” [Frith, 1988, 12]. Per comprendere qualsiasi aspetto delle musiche che ascoltiamo tutti i giorni, delle musiche popular, bisogna comprendere, sempre seguendo Frith, che “l’industrializzazione della musica non può essere interpretata come qualcosa che accade alla musica, visto che descrive il processo col quale la musica stessa è prodotta, un processo che fonde e confonde questioni economiche, tecniche e musicali.” [ibidem]. E’ dunque dall’analisi delle dinamiche d’evoluzione dell’industria discografica che dobbiamo partire per contestualizzare gli avvenimenti del mondo musicale a noi prossimi, legati allo sviluppo delle tecnologie digitali elettroniche. A partire grosso modo dalla Prima Guerra Mondiale, con l’affermarsi del grammofono e dei dischi come forma dominante di merce musicale, il mondo della musica, nelle sue forme, significati e nelle sue dinamiche di comunicazione, è definito in rapporto allo sviluppo di un’industria specifica. Lo sviluppo del mercato e le caratteristiche che di volta in volta questo ha assunto hanno influito profondamente su tutti gli aspetti della musica. In particolare lo sviluppo sempre più definito di un mercato globale della fonografia durante l’arco del secolo “ha marcato un profondo cambiamento nell’esperienza musicale, un declino nelle maniere definite del fare musica amatoriale, la definizione di nuove forme di consumo e uso musicale” [Frith, 1988, 13]. La storia dell’industria discografica fin dalla sua nascita è stata caratterizzata da periodi di espansione e periodi di depressione, da differenti gradi di concentrazione dell’offerta, da momenti di più marcata innovazione musicale rispetto ad altri. Le dinamiche che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’industria fonografica sono dipese da svariati fattori, tra cui elementi riguardanti l’organizzazione aziendale, le innovazioni tecnologiche e le disposizioni legislative del settore. Almeno due caratteristiche sono basilari per comprendere questo sviluppo. Il primo luogo l’industria discografica nacque in Nord America ed in Europa, dove si sono sviluppate le pratiche, le politiche e le attività che oggi definiscono il tipo d’organizzazione in questione. È in questi paesi che la popular music muove i suoi primi passi e si definisce in relazione a particolari sviluppi tecnici economici nonché musicali che si andavano formando. Solo in un secondo momento le caratteristiche ivi formatesi iniziano a diffondersi in altre parti del globo, attraverso un processo che si muove parallelamente al ruolo storico dei paesi occidentali di colonizzatori dei paesi in via di sviluppo [Laing, 1986, 331]. Il secondo elemento che caratterizza fin dai primissimi tempi lo sviluppo della storia dell’industria discografica è la concentrazione della produzione musicale nelle mani di poche grandi compagnie, che hanno iniziato fin dagli anni ’30 a sviluppare strategie globali e multimediatiche. Lungo tutto l’arco della storia dell’industria musicale, quattro o cinque grandi compagnie multinazionali, tutte facenti capo agli Stati Uniti, al Giappone e ad alcuni stati europei, sono riuscite a mantenere un controllo effettivo della maggior parte del mercato mondiale. A seconda dei periodi e con pochissime eccezioni temporali (come nei pochi anni a cavallo tra la quinta e la sesta decade del secolo), queste grandi compagnie o major sono riuscite a mantenere sotto il proprio controllo tra il 60% e il 90% dell’intera produzione mondiale di musica[3]. Questa concentrazione di potere, sia economico che politico, in una definita zona del mondo, e al suo interno in un definito e ristretto gruppo di aziende, è una prima importante questione a comprendere lo sviluppo delle musiche popular.[4]
[1]R. Murray Schafer, musicista e teorico, è autore del libro Il paesaggio sonoro, in cui traccia una storia del suono ambientale dalle società agricole fino a quelli del mondo moderno e industrializzato. È inoltre il fondatore della World Soundscape Project, dedicato allo studio e alla documentazione dei suoni nel loro ambiente, con sede presso la Simon Fraser University, nella Columbia Britannica. [2] Simon Frith è uno degli studiosi pionieri, nonché uno dei più prolifici, di quella che viene talvolta chiamata Sociologia del Rock, definizione diffusasi in seguito a suo primo libro [Frith, 1978\a]. Oltre all’attività accademica, Frith svolge il ruolo di critico musicale per varie riviste inglesi, ed è fratello di uno dei più apprezzati chitarristi sperimentali, Fred Frith. [3] Queste sono le cifre che si rilevano dai vari contributi sull’argomento tra cui Gronow [1983], Peterson [1975], nonché dal recente monitoraggio del mercato discografico di Silva e Ramello [1999]. [4] Sulla questione della dominazione del mercato globale da parte di poche grandi aziende occidentali, e in particolare nordamericane, da un punto di vista che rileva il parallelismo tra l’industria musicale e il ruolo di colonizzatori degli stati occidentali si veda il saggio di Dave Laing The music industry and the ‘cultural imperialism’ thesis [1986]. |
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www.paomag.net/university/pdfuni/Article%20-%20International%20Journal%20of%20Food%20Inquiry.pdfwww.paomag.net/university/pdfuni/Article%20-%20International%20Journal%20of%20Food%20Inquiry.pdf