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1.2. Lo sviluppo dell’industria e del mercato discografico
La Produzione indipendnete di Musica elettronica - tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione

 

Anche se i primi esperimenti tecnici di successo nel campo delle registrazione del suono sono un po’ precedenti[1], il primo fonografo appare solo nel 1888 ed è prodotto dalle industrie della Bell Telephone Company. Il primo utilizzo di questo ritrovato non ha niente a che vedere con la musica; infatti, l’inventore Thomas Edison intuisce solo la funzione che queste macchine avevano nell’agevolare la dettatura di documenti negli uffici. Questi primi fonografi da dettatura non ottennero il successo sperato e solo nella zona di Whashington – dove vi erano più uffici – le vendite raggiungono un qualche successo [Frith, 1988, 13]. Parallelamente a tale utilizzo, il fonografo inizia ad apparire, parallelamente al cinematografo, come attrazione dei circhi ambulanti e delle fiere e dunque come attrazione per le classi proletarie e sotto-proletarie che allora frequentavano tali forme di intrattenimento. Oltre al fonografo di Edison, basato sulla tecnologia del cilindro stampato, appare nello stesso periodo il grammofono basato sul disco, che differentemente del cilindro non poteva essere registrato. E’ Emile Berliner ad introdurlo, fondando la United States Gramophon Company. Nel 1896 appare il primo fonografo destinato all’home entertaiment prodotto da Edison. Le quantità delle prime incisioni, realizzate dalle stesse compagnie che producevano i riproduttori erano relativamente basse; i cilindri di Edison erano inizialmente riprodotti in 200 copie, mentre i dischi di Berliner in una dozzina, in qualche centinaio o al massimo qualche migliaio di copie l’anno. [Gronow, 1983, 54]. 

Nel 1902 sono ufficializzate, dopo alcuni scontri legali, le patenti di queste macchine, quella di Edison basata sul cilindro e quella di Berliner basata su disco, e i rispettivi proprietari seguono la produzione dei due fonografi iniziando anche a creare succursali in Inghilterra e in altri paesi europei. Le compagnie più grandi iniziano a porsi presto obiettivi internazionali. La Victor Talking Machine di Berliner e la Gramophone Company di Edison si spartiscono il mercato internazionale: la prima concentrava le proprie attività nelle zone delle Americhe e in Oriente, la seconda nel resto del mondo [ibidem, 56].

Nel 1914 le patenti basiche scadono e conseguentemente appaiono una serie di nuove industrie del fonografo. In questi anni le industrie che producono i fonografi e registrazioni si moltiplicano. Ovviamente, per invogliare gli acquirenti ad acquistare un riproduttore si deve fornire loro anche qualcosa da riprodurre ed ascoltare. L’industria della produzione fonografica è caratterizzata dalla coincidenza in questo periodo di produttori di hardware e di software. Le industrie discografiche iniziano a caratterizzarsi come una piccola parte della più grande industria di beni elettrici e paradossalmente gli uomini a capo di queste industrie non hanno alcuna esperienza in comune con gli agenti musicali e in generale con gente appartenente al mondo della musica [Frith, 1988, 15]. Già a partire dagli anni ’10 il processo produttivo inizia a assumere una carattere più industriale: “Le compagnie discografiche iniziano ad usare anonime orchestre e cantanti per produrre registrazioni in catena di montaggio di nuove canzoni. Da questo punto di vista il seguente sviluppo dell’industria nel primo dopoguerra era già prevedibile” [Gronow, 1983, 62]. Nel corso degli anni ’10 si istituzionalizza la 28ª strada di New York, che prenderà il nome di Tin Pan Alley, come quella in cui si radunano la maggior parte degli editori musicali. Sul finire degli anni ’20 il mercato acquista dimensioni ragguardevoli. Le vendite di fonografi si attestarono intorno ai 2 milioni di unità e le vendite di dischi si attestano nei soli Stati Uniti intorno a 140 milioni di copie [ibidem, 59].

Nel 1932 però l’industria fonografica subisce un violento tracollo. In parte a causa della crisi economica del 1929, in parte a causa di una ridefinizione dell’utilizzo del tempo libero in seguito all’introduzione della radio e del cinema sonoro, le vendite di registrazioni passano da 104 milioni a 6 milioni di unità e quelle di fonografi scendono ad appena 40.000 unità annue. La conseguenza più evidente di questo tracollo fu il collasso delle piccole compagnie fonografiche che si erano sviluppate durante il boom della fonografia durante gli anni ’20. L’offerta si concentra in un oligopolio, tant’è che negli Stati Uniti rimangono attive solo tre compagnie discografiche, la EMI, la Decca e la American Record Company [Frith, 1988, 17]. Inoltre, è proprio in questo momento, in seguito alla crisi del settore, che l’industria discografica inizia un’integrazione con le altre imprese dell’intrattenimento, la radio e al cinema, ed è questo un fenomeno che arriverà al culmine negli anni ‘80. La concentrazione dell’offerta in mano a poche grandi industrie e la ridefinizione delle strategie di queste industrie, che puntano a integrare dischi, radio e film pone le basi degli sviluppi successivi del mercato discografico. E’ la compagnia Decca la prima ad intraprendere negli anni ’30 una politica commerciale basata su massicci investimenti in pubblicità e marketing per far fronte al calo delle vendite e alla forte concorrenza attuata dai pochi colossi industriali presenti sul mercato [ibidem, 19]. E’ chiaro che solo le compagnie di grandi dimensioni possono permettersi forti investimenti in promozione e sostenerne i relativi rischi, giacché non sempre tali investimenti trovano un riscontro in termini di vendite. Solo durante la seconda metà degli anni ’30 le vendite iniziano a risalire, grazie al successo ottenuto non dalle registrazioni ad uso privato, ma da quelle destinate ad essere suonate nei jukeboxes, che nel 1939 raggiungono i 300.000 esemplari prodotti annualmente, con un corrispettivo di 30 milioni di dischi ad essi destinati. Comunque per ritornare alle cifre del periodo pre-1932 bisognerà aspettare la seconda metà degli anni ’50 e il relativo boom della musica rock’n’roll destinata ad un pubblico adolescenziale e giovanile.

E’ questo pure il periodo in qui gli Stati Uniti pongono le basi del proprio dominio sulla produzione di musica a livello internazionale. Dalla fine della Seconda Guerra le musiche popular che si possono ascoltare per radio o comprate incise in dischi sono direttamente o indirettamente di origine americana, legati alle due tradizioni del country e del blues.

Nel 1948, conclusasi la Seconda Guerra, la struttura dell’industria discografica ha ormai raggiunto una propria struttura caratteristica definita. L’offerta di musica è dominata da quattro grandi compagnie discografiche, la RCA Victor, la Columbia, la Decca e la Capitol, che basano le loro strategie di vendita sul controllo delle produzioni di registrazioni e dei meccanismi distributivi e attraverso una strategia di massicci investimenti in promozione. Il settore discografico trova ormai nella radio, che negli Stati Uniti è monopolio pubblico, e nel cinema le vie preferenziali per far conoscere e promuovere la musica. Di fatto queste quattro grandi compagnie cercano in questo periodo di integrarsi gli altri settori dell’intrattenimento: La RCA era collegata con il network radiofonico NBC; La Columbia possedeva il proprio network CBS; la Decca era affiliata ad una potente compagnia di agenti artistici, Music Corporation of America, che lavorava anche in ambito cinematografico, e giunse a possedere gli studi cinematografici della Universal. La Capitol Record era affiliata con la Paramount Pictures [Peterson e Berger 1975, 143]. Nello stesso periodo il controllo del mercato da parte delle quattro major era loro garantito dalla pratica istituzionalizzata della ‘payola’[2], una sorta di corrispettivo pagato dalle compagnie discografiche alle radio per suonare e promuovere la musica decisa dalle stesse major, pratica che diventerà illegale solo verso la fine degli anni ’50 [ibidem]. In questo contesto, la concentrazione del mercato raggiungeva a cavallo tra gli anni ’40 e i ’50 quote ragguardevoli: nel 1949, secondo il calcolo di Peterson e Berger basato sulle classifiche dei singoli più venduti, le quattro major raccoglievano l’89% della produzione e bastava considerare le prime otto compagnie per completare il 100% del mercato [Peterson e Berger, 1975, 142].

Intorno al 1955 si riscontra nel mercato discografico americano un periodo di forte cambiamento, il cui risultato principale è l’affermazione del rock’n’roll come genere e stile dominante destinato principalmente alle nuove generazioni. Il grado di concentrazione del mercato, sempre secondo i dati calcolati da Peterson e Berger, subisce un forte ridimensionamento: nel 1959 le prime quattro compagnie non raccolgono che il 34% dei singoli più venduti e le prime otto compagnie non arrivano al 60% [ibidem, 142]. In ogni modo il calo delle percentuali di mercato detenute delle major non si trasformava tanto in una diminuzione delle vendite, grazie al generale aumento del complesso di dischi che registrava tra a partire dal 1955 un aumento annuo compreso tra il 7% e il 25% [ibidem, 145]. Come vedremo in seguito, Peterson e Berger spiegano il cambiamento della struttura del mercato alla luce dell’analisi dell’attività di nuove, piccole etichette indipendenti che grazie a strutture aziendali più agili e ad una più attenta considerazione della domanda di musica riuscirono ad affermarsi proponendo nuovi stili musicali. 

Una prima conseguenza del repentino cambiamento avvenuto nella metà degli anni ’50, fenomeno analizzato accuratamente da Peterson [1990], fu un cambio nella struttura aziendale e nelle strategie produttive da parte delle grandi compagnie. Dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, le major intrapresero una decentralizzazione delle attività, soprattutto attraverso la creazione di sotto-etichette indipendenti sotto il profilo produttivo, ma legate finanziariamente e strategicamente alle compagnie cui facevano capo, soprattutto per ciò che riguardava il sistema distributivo. Questo permetteva loro di ampliare lo spettro di generi e stili musicali prodotti, differenziandoli attraverso differenti nomi delle etichette. Come osserva Timothy Dowd, “Questo sistema di produzione ‘aperto’ permetteva alle grosse case, grazie alle loro divisioni, di emulare le piccole”. [Dowd, 2000, 234]. Inoltre, osserva sempre Dowd, le major iniziarono a stipulare contratti di distribuzione e collaborazioni con etichette indipendenti, in modo da poter trarre profitto economico attraverso lo sfruttamento della creatività di queste ultime [ibidem].

Collegato a questa trasformazione delle propria struttura, le major cominciarono a investire nella ricerca di nuovi talenti e nell’acquisto dei contratti di personaggi già affermati attraverso le piccole etichette. La RCA ad esempio riuscì a sostenere la concorrenza delle nuove etichette grazie alle vendite dei dischi di Elvis Presley, lanciato un primo momento da una piccola etichetta indipendente, la Sun Records, mentre di lì a poco la Capitol e la Columbia lanciarono nuovi talenti come Bob Dylan e i Beach Boys con i quali riuscirono a recuperare il terreno perso negli anni immediatamente precedenti.

Un ulteriore fenomeno che caratterizzò l’attività delle grandi compagnie fu la tendenza di queste ultime di rilevare la proprietà delle piccole e economicamente più deboli etichette che avevano acquisito rilevanti fette di mercato. La tendenza a fagocitare le etichette più piccole diventerà presto una norma e, come vedremo successivamente, costituirà uno delle basi delle dinamiche di relazione tra grandi e piccole etichette negli anni ‘90 [Hesmondhalgh, 1996]. Sempre in questo periodo si definiscono altre differenti forme di joint-venture per cui, ad esempio, “ciascuna major avrebbe garantito la distribuzione alle etichette indipendenti in cambio di diritti, profitti e talvolta anche reclamando il diritto di indirizzarne le scelte” [Dowd, 2000, 236].

Il successivo periodo è caratterizzato dunque da un progressivo recupero delle fette di mercato che le major avevano perduto precedentemente in favore delle etichette indipendenti. Ciò avvenne per un verso con una politica di sviluppo di settori del mercato secondari, attraverso le sotto-etichette controllate; per un altro verso, attraverso una politica basata sulla creazione di personaggi destinati a catalizzare le attenzioni del mercato mediale internazionale, sostenuti attraverso il sistema dell’intrattenimento verticalmente integrato le cui basi erano state poste all’inizio degli anni ’30.

La struttura del mercato, che fino agli anni ’50 si configurava come un oligopolio basato su un unico genere musicale principale, quello relativo alle compagnie musicali di Tin Pan Alley[3], dopo il periodo di transizione appena descritto, si ricostituisce in oligopolio, stavolta però maggiormente differenziato stilisticamente e frammentato dal punto di vista produttivo. Inoltre il mercato continuava a gonfiare la quantità di denaro mosso raggiungendo negli anni ‘70 la cifra di 1.6 di miliardi di dollari, superando così ogni altro genere d’intrattenimento per quantità di denaro fatturato [Peterson e Berger, 1975, 152].

Alla fine degli anni ’70 l’industria discografica subisce una forte crisi, paragonabile a quelle verificatasi nel 1929, e denominata ‘crac della Gioconda’ in relazione al nome dei un grande progetto abbandonato nel 1979 da parte della RCA [La Rochelle, 2001, 821]. In risposta a questa crisi le etichette major accentuano la tendenza a fondersi in multinazionali dell’intrattenimento, in cui aspetti discografici si integrano con le concentrazioni audiovisive.[4] È proprio in seguito a questa crisi che si organizzano e consolidano alcune etichette indipendenti inglesi come la Mute Records e la Creation Records.

Proprio in seguito a questa crisi, durante gli anni ’80 si è accentuato da parte delle compagnie la necessità di grandi investimenti per incidere, promozionare e vendere dischi. Infatti all’inizio degli anni ’90 una major inglese spendeva intorno alle 250.000/300.000 sterline  nell’arco del primo anno di vita di un nuovo progetto, solamente per le spese di registrazione, di prima promozione e di anticipo agli artisti [Negus 1992, 40].

Oltre ad un accentuarsi dei costi necessari per produrre e proporre un disco sul mercato, questo periodo si caratterizza per aver assistito all’inizio dell’‘era della riproducibilità elettronica’ [Fabbri, 1984, 101], inizialmente attraverso l’introduzione del compact disc come formato dominante per lo scambio della musica e degli strumenti digitali per ciò che concerne la fase produttiva. Nel nuovo formato le grandi compagnie intravedono la via di uscita della crisi di vendite verificatasi. Uno dei più evidenti effetti dell’introduzione di questo nuovo formato fu la concentrazione delle attività delle major nella riedizione in cd del catalogo precedentemente esistente in altri formati, a scapito di nuove produzioni.[5] La Rochelle sottolinea a questo riguardo come l’affermazione del cd sia coincisa con “il primo grande movimento contemporaneo di riedizione degli archivi e la costruzione sistematica della memoria sonora; l’emergere di un vasto museo postmoderno della fonografia” [La Rochelle, 2001, 822].

Se per un verso la riedizione di sconfinati cataloghi durante gli anni ’80 da parte dei grandi imprese dell’intrattenimento aveva costituito a breve termine la vie di salvezza dalla crisi, era questo medesimo processo che poneva le basi per la successiva crisi, il ‘crac del 1996’ [ibidem, 823]. Alle radici di questa ultima crisi, oltre alla saturazione del mercato causata dalle infinite riedizioni di materiale già esistente, vi è sicuramente lo svilupparsi del fenomeno della pirateria musicale, il cui volume di affari è stimato nel 1997 intorno alla ragguardevole cifra di 2 miliardi di dollari[6]

Il processo di digitalizzazione della musica avviato con l’introduzione del cd si sposa a fine anni ’90 con la massificazione e il perfezionamento della comunicazione telematica e della tecnologia del personal computer. A partire dall’ampia diffusione di Internet e dal perfezionamento di formati di compressione musicali come i formati Mp3 e Realaudio[7], si è avviato un consistente flusso di scambio di musica attraverso la rete telematica. Nel 1999 nasce Napster[8], un innovativo meccanismo per lo scambio di musica in rete che crea l’anno seguente un caso legale e musicale. Difatti le case discografiche major, resesi conto della quantità di musica di loro proprietà e coperta da diritti d’autore che era scambiata gratuitamente in rete, intentano una causa contro Napster e altre imprese entrate nel settore nel frattempo. Nel 2001 le major, fino ad allora non avevano considerato seriamente il mercato potenziale della musica scambiata su Internet e avevano lasciato il campo libero ad altre nuove imprese (oltre a Napster, Mp3.com, Vitaminic.com e una grandissima quantità di siti amatoriali). Constata la consistenza del bacino di utenza cui è giunto lo scambio di musica in rete, le grandi compagnie hanno deciso di recuperare il controllo di questo settore. Alla fine del 2001 la Bmg, Warner e EMI si siano associate per creare la propria piattaforma di distribuzione di musica in rete, MusicNet. Questo nuovo soggetto ha costituito un accordo con il ‘nemico’ Napster, in modo da utilizzare i milioni di utenti che questi possedeva. Dal canto loro, le altre due major, Sony e Universal, si sono accordate per creare una seconda piattaforma, Duet. Lo scenario della musica in rete dovrebbe essere caratterizzato nei prossimi anni dallo scontro tra queste due fazioni delle major.

Oggigiorno il mercato mondiale è dominato per circa il 78% da cinque grandi compagnie multinazionali dell’intrattenimento: la Emi Records, che originariamente fa base in UK; la Universal (21,8%), che fa parte della Philips Corporation; la Sony Music (19%); La EMI (12,9%), la Warner Music e la BMG Music (entrambe 12%) [Affari e Finanza, 11 Giugno 2001].



[1]  Il noto fotografo Nadar descrive intorno al 1860 una macchina, che chiama fonografo, “come una scatola nella quale si fissano e si conservano le melodie cosi come la camera oscura coglie e fissa le immagini”. Nel 1857 Scott de Martinville costruisce a Léon un dispositivo per la registrazione grafica del suono col fine di studiare i meccanismi della parola. Anni dopo, Thomas Edison inizia a lavorare all’idea del fonografo e nel 1977 scrive sullo Scientific American di aver messo a punto “un’invenzione meravigliosa, ovvero la parola suscettibile di essere ripetuta all’infinito, mediante registrazioni automatiche” [Flichy, 1994, 106]. Il primo concetto di fonografo si formò in effetti parallelamente e sulla scia del perfezionamento della fotografia negli anni ’30 dell’ottocento e dunque – come osserva Flichy [ibidem] – come macchina per “conservare il ricordo degli scomparsi”.

[2] Dati della Music Publishers Protective Association stimavano in 400.000 dollari annui il flusso di denaro relativo alla payola negli Stati Uniti nel 1916, cifra destinata a salire fino agli 80 milioni di dollari prima che nel 1960 il Congresso degli Stati Uniti la dichiarasse illegale facendola ricadere sotto il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations [Silva e Ramello, 1999, 20].

[3] Per stile Tin Pan Alley si fa coincidere lo stile musicale con il quale le grandi compagnie americane mantennero il controllo del mercato fino agli anni ‘50

[4] La Emi si associa nel 1980 con la Thorn; La Decca è ceduta lo stesso anno alla Polygram; la RCA diventa nel 1986 proprietà della tedesca BMG e la Columbia viene acquisita dalla giapponese Sony [La Rochelle, 2001, 822].

[5] Christianen fa notare a proposito del tasso di concentrazione del mercato come proprio l’attività focalizzata allo sfruttamento del repertorio gia esistente abbia favorito proprio verso la metà degli anni ’80 le piccole etichette attive nella ricerca di nuovi talenti. E’ il 1986 che fa rilevare il picco più basso della percentuale di dischi nuovi rispetto a quelli di repertorio e di nuovi artisti sui gia conosciuti [1995, 85].

[6] Stima dell’International Federation of the Phonographic Industry – IFPI. Citato in La Rochelle, 2001, 824.

[7] Il formato Mp3 (MPEG Layer-3) è un formato di compressione audio che permette di trasformare ingombrati file audio, nella pratica impossibili da scaricare con normali modem, in file molto più piccoli (fino a 10 volte) e dunque adatti ad essere trasferiti attraverso la linea telefonica da un computer ad un altro. Il formato Realaudio è un sistema che permette di ascoltare file audio attraverso una connessione telematica in streaming, ossia ascoltando in tempo reale il file, senza la necessità di doverlo prima scaricare e poi ascoltarlo in un secondo tempo. Cfr. Sitta, 1999. 

[8] Questo sistema di scambio di musica permette ai vari utenti di scambiare brani musicali tra loro, senza passare da sito o server centrale. La discussione legale intorno all’attività di Napster si è incentrata in particolare proprio su questo punto, cioè sul fatto che non si trattasse di un sito Internet che mettesse a disposizione musica protetta di copyright, ma solo di un software destinato alla comunicazione tra singoli utenti.

 

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