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1.4.  Il funzionamento dell’ impresa discografica
La Produzione indipendnete di Musica elettronica - tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione

 

Uno dei primi contributi dedicati alla comprensione del sistema dell’industria di popular music e della produzione musicale e quello offerto da Paul Hirsch. In un articolo del 1972, Hirsch propone un modello utile per la comprensione dei meccanismi di produzione dei prodotti culturali di massa. Questo modello, chiamato “sistema dell’industria culturale” prende in considerazione la produzione di dischi, di libri di facile lettura e di film a basso costo. Hirsch definisce un ‘organizzazione culturale’ come una azienda che abbia come scopo la ricerca di profitto e che produca prodotti culturali per la distribuzione nazionale” [1972, 127]. Egli descrive la maniera in cui un’organizzazione culturale agisce da selettore e classificatore in una catena produttiva che ha per estremi un input, in cui viene selezionato il materiale grezzo, e di un output costituito dal momento della vendita. Tra questi due estremi della catena di produzione, vi sono dei filtri, vale a dire dei sottosistemi che provvedono alla selezione del materiale che può o meno arrivare agli stadi successivi e infine agli acquirenti. Hirsh sostiene che queste organizzazioni culturali sono caratterizzate dalla necessità di confrontarsi in primo luogo con le costrizioni loro imposte dall’attività del filtro esercitato dai mass media in fase distributiva. Inoltre, devono affrontare la ricerca di nuovo “materiale grezzo” da trasformare in veri e propri prodotti. Per risolvere questi problemi le organizzazioni culturali adottano – sostiene lo studioso americano – tre strategie: 1) la moltiplicazione delle figure che agiscono ai confini di questa catena produttiva, a livello di input e di output; sono questi i contact men dai nomi come talent scout, promoters, coordinatori stampa; 2) la sovrapproduzione e la differenziazione dei prodotti culturali; 3) l’influenza e la pressione svolta sui mass media e sui produttori di opinione. Egli considera un prodotto culturale come un oggetto immateriale nel suo contenuto, che racchiuda in sé significati e interpretazioni relativi a un ben determinato gruppo d’idee. Hirsch offre un modello mutuato dalla sociologia dell’organizzazione che consiste nell’identificare le varie componenti che costituiscono un’industria di prodotti culturali, i ruoli svolti da queste componenti e il fatto che questa struttura corrisponda ad una funzione ben specifica e adotti delle strategie specifiche per la ricerca dei propri fini. L’insieme di queste imprese costituisce il sistema dell’industria musicale, che a sua volta entra in relazione con il più vaso sistema dei media e della produzione culturale. L’impresa discografica ha il compito di ricercare materiale creativo e trasformarlo in un prodotto commerciale e quindi venderlo. Secondo Hirsch, questa struttura ha il compito di ricercare materiale creativo e selezionarlo, promuoverlo all’interno di un mercato competitivo e dunque riuscire a venderlo per ottenere dei profitti.

La critica più volte mossa contro questo modello, che peraltro possiede l’indubbio merito di aver portato al centro degli studi sulla produzione musicale la variabile della struttura aziendale, è l’eccessivo potere che assegna alla rigidità della struttura organizzativa delle imprese. Come osserva Keith Negus, “il concetto del gatekeeper è limitato perché implica che oggetti culturali semplicemente arrivino ai “cancelli” quando ciascuno di essi vi è ammesso o escluso” [Negus, 1992, 45]. In effetti, le maniere con cui un oggetto culturale percorre questa catena possono essere molteplici e si possono riscontrare anche percorsi inversi: ad esempio, artisti che dopo aver superato diverse porte della struttura ripercorrono all’inverso la catena, passando magari da etichette major, a indipendenti fino alle autoproduzioni. In generale gli oggetti culturali prodotti sempre di più sono in tutto o in parte costruiti all’interno dell’organizzazione culturale, secondo le precise necessità di quest’ultima, piuttosto che trovati attraverso una ricerca di materiale creativo esistente. Come vedremo più avanti, l’industria discografica ha negli ultimi vent’anni reso molto più complessa la propria struttura e i meccanismi che concernono la produzione di oggetti culturali.

Inoltre, osserva David Hesmondhalgh, questo approccio aiuta a sottolineare come “la distribuzione nelle industrie culturali è organizzata lungo linee burocratiche e enfatizza la relativa mancanza di potere dei produttori comparato con quella dei distributori. La centralità dei distributori aiuta a capire perché l’integrazione verticale è così spesso presente nelle industrie culturali” [Hesmondhalgh, 1996, 481].

Keith Negus [1992] offre una visione dell’impresa discografica molto particolareggiata e basata non su uno schema filter-flow, come viene definito quello di Hirsch, ma su uno schema a rete che secondo l’autore permette di rendere conto della maggiore complessità e confusione che caratterizzano la produzione discografica odierna. Negus ha realizzato una ricerca tra il 1988 e il 1992 intervistando personale interno a compagnie discografiche di Stati Uniti e Gran Bretagna. “A partire dall’ultima parte degli anni ’80 queste compagnie si sono esplicitamente definite come organizzazioni globali. Le etichette major coinvolte nella registrazione di popular music non ricercano più tanto musicisti, cantanti o canzonieri locali. L’industria fonografica ha a che fare con lo sviluppo di personalità globali, che possono essere comunicate attraverso una molteplicità di media: registrazioni, video, film, televisione, riviste libri e pubblicità” [ibidem, 1]. Inoltre Negus stesso definisce il suo studio “un tentativo di superare una visione del business musicale come una seria di scatole burocratiche e un sistema cibernetico attraverso il quale i prodotti sono trasmessi dai produttori ai consumatori” [ibidem, vii].

Nel descrivere analiticamente i soggetti e le pratiche coinvolti nell’attività di una casa discografica, Negus pone l’accento su alcune caratteristiche dell’attività discografica che egli considera determinanti. In primo luogo, l’azienda non si configura più come un collegamento tra il mondo degli artisti e quello degli ascoltatori di musica, nel senso che viene meno la fase di ricerca di artisti a favore di una più attenta attività di costruzione dei personaggi all’interno stesso dell’impresa. È questo il processo svolto dal dipartimento di Artist Development. “Nel suggerire che i suoni, le immagini e le parole della musica pop sono definite e prodotte in maniera decisiva nel processo di Artist Development, io ho descritto l’industria musicale come una rete di pratiche lavorative, dialoghi e relazioni articolate” [Negus, 153]. Infatti, Negus riconosce all’impresa discografica la caratteristica di rete, sia per ciò che riguarda il processo di formazione dei personaggi, sia per ciò che riguarda la struttura dei dipartimenti e dei vari ruoli lavorativi. È all’interno di questa struttura a ragnatela attraverso cui si svolge il processo chiave di sviluppo dei progetti che “le tensioni tra artisti, consumatori e grandi compagnie sono mediate e trovano espressione in uno spettro di pratiche lavorative, divisioni ideologiche e conflitti” [ibidem, 153]. Egli è convinto che la popular music non si riduca ad un processo unidirezionale artista-ascoltatore, ma che sia il risultato di un dialogo e una negoziazione tra gli spunti che arrivano da parte del mondo artistico, degli ascoltatori e dal mondo dell’organizzazione discografica, nel quadro di un processo di continuo riassestamento.

Per chiarire questo suo approccio, Negus procede a una descrizione dettagliata di pratiche e forme dell’impresa discografica. Tutte le etichette sono divise in dipartimenti. Artisti e repertorio, marketing, pubblicità e stampa, promozione per la radio e tv, vendite, settore finanziario-legale, manifattura e distribuzione, amministrazione e segreteria [ibidem, 28]. Un dipartimento fondamentale, che anche nelle più piccole compagnie è presente, è quello degli artisti e repertorio (A&R), che è generalmente diviso al suo interno nei ruoli di direttore, senior manager, manager e talent scout [ibidem, 39]. Il compito di questo dipartimento è chiave per il funzionamento della compagnia. Spetta ad esso, infatti, la ricerca, l’acquisizione e la gestione degli artisti e dei loro progetti.

I contratti stipulati dalle compagnie prevedono una somma specifica di anticipo da pagare e una quota percentuale sulle vendite che in generale, per un nuovo artista oscilla tra il 10% e il 14%. Inoltre alcuni contratti sono strutturati in modo che tale percentuale possa aumentare col passare del tempo [ibidem, 42]. I contratti di solito vincolano un’artista o una band per un periodo di 5/7 anni, con una clausola di opzione di rescissione del contratto da parte della corporation per ogni anno o per ogni album [ibidem].

Agli A&R manager spetta solitamente il compito di gestire dei progetti esistenti. Sull’acquisizione di nuovi artisti l’ultima parola spetta solitamente al direttore del dipartimento. I talent scout invece rivestono il doppio ruolo di proporre nuovo materiale alle compagnie e di presentare le produzioni delle compagnie all’interno di particolari gruppi di ascoltatori [ibidem, 48]. Negus fa inoltre notare che nel momento della pubblicazione della sua ricerca, 1992, s’iniziava a delineare una tensione incentrata sul tipo di artisti da mettere sotto contratto tra il dipartimento A&R e il dipartimento marketing, segnalando come questo fosse un nuovo fenomeno legato all’aumentare considerevole dei costi di marketing all’interno del processo produttivo [ibidem, 38]. Negus comunque ricostruisce i principali criteri su cui si basa una compagnia nella scelta dell’acquisizione di nuovi artisti: la qualità della performance dal vivo, l’originalità del materiale presentato, la qualità dell’esecuzione delle registrazioni, l’aspetto con cui si presentano, il livello di motivazioni ed entusiasmo [ibidem, 53].

 

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